Teatro dei Varii
L'origine del teatro è strettamente legata al nucleo antico di questo importante centro della Val d'Elsa e della provincia di Siena. Esso sorge infatti su resti di importanti edifici posti fra Via del Castello e Via della Misericordia: le murature e le aperture medievali duecentesche e l'antico ospedale del quale conserva ancora oggi la facciata principale in cotto a vista e con loggia a cinque arcate sormontata da bifore.
In questo ospedale dal 1695 aveva sede l'Accademia dei Varii che utilizzò inizialmente uno stanzone per le proprie rappresentazioni. Ma alla metà del secolo successivo si sentì il bisogno di dotare il centro di un vero e proprio teatro. Commissionato al celebre architetto Antonio Galli Bibiena, operante allora a Siena, il nuovo teatro venne inaugurato nel 1760 con pianta a U e tre ordini di palchi. Dopo essere stato utilizzato nell'ultimo dopoguerra come sala cinematografica e dopo aver chiuso a causa di problemi di conservazione e di non rispondenza alle normative di sicurezza, il teatro nel 1982 venne ceduto dall'Ente morale Accademia dei Varii al Comune di Colle Val d'Elsa.
Dopo consistenti lavori di restauro, ristrutturazione e adeguamento funzionale eseguiti dall'Amministrazione Comunale su progetto dell'architetto Gioni Neri e nell'ambito del Progetto Regionale FIO, nel 1991 il teatro è stato recuperato alla sua attività tradizionale. Inoltre, essendo stato dotato anche di nuovi servizi quali camerini e magazzini e arricchito di nuovi spazi destinati a conferenze, mostre temporanee e permanenti, ha acquisito anche la fisionomia di un moderno centro polifunzionale. Grazie alla collaborazione con l'Associazione culturale Aramis e con l'Associazione Giovani Concertisti ha sviluppato un'intensa attività di spettacoli, concerti, laboratori di teatro, danza e musica.
Teatro del Popolo Uno dei più capienti teatri della provincia senese deve la sua tipologia originaria (sala rettangolare con angoli arrotondati con galleria e ampio palcoscenico) al progetto dell'ingegner Gino Gérard realizzato negli anni '30. La redazione attuale si deve invece a lavori di ampliamento dei locali di servizio (bar, ridotto, foyer, servizi) eseguiti nel 1996 su progetto degli architetti Piero Guicciardini e Marco Magni. Nel 2000 sono stati effettuati lavori di adeguamento dei camerini su progetto dell'Ufficio Tecnico Comunale.
Il Duomo di Colle di Val d'Elsa
Il Duomo venne costruito all'inizio del XVII secolo sul luogo ove sorgeva un'antica Pieve romanica e restaurato interamente nel corso dei secoli successivi.
L'interno custodisce pregevoli opere d'arte. A metà della navata centrale è alloggiato un pulpito marmoreo recante bassorilievi del Trecento e del Quattrocento.
Presso l'altare maggiore è posto un bel Crocifisso bronzeo realizzato dal Tacca (1577-1640) e dal Giambologna (1529-1608).
Nella prima cappella sulla destra si ammirano l'altare e i dipinti attribuiti a Giovanni Paolo Melchiorri. Nella seconda cappella è possibile ammirare le tele dipinte nel 1635 da Deifebo Burbarini.
'interno della quarta cappella venne affrescato da Astolfo Petrazzi e ivi è alloggiato un altare di Rutilio Manetti (1571-1639).
Nella zona del transetto destro è posta la "Cappella del Chiodo" che custodisce un tabernacolo quattrocentesco realizzato in marmo, di manifattura fiorentina.
Nella cappella del transetto sinistro si trova l'"Ultima Cena" dipinta da Ottavio Tannini e nel battistero sono alloggiate due tele di Cosimo Gamberucci.
Lungo il lato sinistro si trovano altre quattro cappelle al cui interno è possibile ammirare: pregevoli affreschi tardo-secenteschi di Francesco Nasini (1621-1695), un altare di Niccolò Tornioli, due tele dipinte da Giovanni Rosi, un altare e alcune tele realizzati da Filippo Tarchiani.
Museo Civico e d'Arte Sacra La collezione, attualmente ospitata nell'antico Palazzo dei Priori, si è formata nel 1995 dalla fusione del Museo Civico e del Museo d'Arte Sacra.
La raccolta offre un ampio panorama della produzione artistica in Valdelsa dal VI al XX secolo.
Tra le più antiche testimonianze d'arte medievale, la grande tavola con la Maestà, proveniente da Badia a Isola (Monteriggioni), opera impegnativa e affascinante di uno sconosciuto maestro senese (il cosiddetto 'Maestro di Badia a Isola') attivo alla fine del Duecento nella stretta cerchia di Duccio di Buoninsegna, del quale registra alcune importanti innovazioni elaborate grazie al contatto con le opere di Cimabue e del giovane Giotto.
Interessantissimo è inoltre un rarissimo corredo eucaristico in argento, formato da quattro calici, una patena e un cucchiaio, che fu ritrovato fortuitamente nel sottosuolo in località Pian dei Campi e che costituisce la testimonianza dell'esistenza di una comunità cristiana di etnia ostrogota, del VI secolo dopo Cristo, legata alla chiesa di Sant'Andrea a Galognano.
Per la scultura è di particolare rilievo un Crocifisso ligneo policromato del grande Marco Romano, attivo agli inizi del Trecento.
Il Museo ospita inoltre una ricca collezione di dipinti del '600, '700, '800 e '900, tra cui spiccano le tele dei senesi Alessandro Casolani, Ventura Salimbeni, Sebastiano Folli, Bernardino Mei, del fiorentino Pier Dandini, del romano Spadarino, nonchè dei locali Antonio Salvetti , Vittorio Meoni, Ferruccio Manganelli e Mino Maccari.
Museo del Cristallo
La storia moderna dell'industria vetraria colligiana prese l'avvio nel 1820 con il vetraio francese Francesco Mathis con l'impianto di una fabbrica di "cristalli" nella parte bassa di Colle Val d'Elsa, dentro i locali del soppresso convento degli Agostiniani a fianco della chiesa appunto di S.Agostino.
La fornace, unica nel suo genere in Toscana, si distinse subito per i suoi "cristalli" assai più sofisticati dell'utilitaristico vetro verde impagliato che usciva dalle altre fornaci toscane.
La fabbrica possedeva anche un edificio attiguo dove gli articoli venivano arrotati cioè rifiniti e decorati con l'intaglio.
I "cristalli" prodotti a Colle Val d'Elsa a quel tempo non contenevano ancora ossido di piombo - l'ingrediente che dà alla miscela vetrosa la sua magica brillantezza e la totale acromaticità - come invece già avveniva per i cristalli inglesi e per quelli francesi.
Morto Mathis nel 1832, subentrò, come direttore della fornace divenendone poi l'unico proprietario, il bavarese Giovan Battista Schmid, attivo fino a poco prima nella fornace di S.Vivaldo, vicino a Montaione, e prima ancora ad Altare.
Sotto la guida del volitivo Schmid la fornace colligiana raccolse svariati successi a partire dalle numerose Esposizioni cui partecipò, prima tra tutte la medaglia d'oro ottenuta all'Esposizione Universale di Parigi nel 1855.
Giovan Battista Schmid tenne salde le redini dell'azienda fino alla sua morte avvenuta nel 1885.
Il duro contenzioso scatenatosi subito dopo tra gli eredi produsse un lungo periodo di instabilità che si concluse nel 1889 con la vendita dell'azienda ad Alfonso Nardi, industriale vetrario attivo nell'empolese.
Nel 1921 l'industriale Modesto Boschi, accogliendo le suppliche della popolazione di Colle prostrata dalla mancanza di lavoro dopo la chiusura della cristalleria di Nardi, prese in affitto dei locali e riaprì i forni.
Nell'immediato dopoguerra alle Vetrerie Boschi si intensificò la sperimentazione per la realizzazione della formula del cristallo al piombo, condotta nello stabilimento della "Fabbrichina": nel 1946 si riuscì a produrre una miscela con percentuali del 15-16% di ossido di piombo.
Nel 1963 dopo grandi investimenti e molte sperimentazioni a Colle Val d'Elsa, presso la Cristalleria La Piana, si riuscì a produrre un vetro contenente ossido di piombo in percentuali superiori al 24%: si trattava di un prodotto in grado di competere per brillantezza ed acromaticità con quello proveniente dall'Inghilterra, dalla Francia e dal Belgio dove la tradizione di vetro al piombo era plurisecolare.
Oggi il cristallo rappresenta a Colle una tra le più importanti realtà produttive, tanto che nella città si produce il 15% del cristallo di tutto il mondo ed oltre il 95% di tutto quello d'Italia.
Museo Archeologico La caratteristica principale di questo museo, dedicato alla memoria del grande studioso senese Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975), nella fotografia a fianco, al quale si devono i primi studi sistematici del territorio, consiste nell'aver raccolto nelle proprie sale soltanto reperti provenienti dal territorio valdelsano in modo da offrire al visitatore una conoscenza storica di quest'area che va dall'Eneolitico al Medioevo.
Il territorio di Colle di Val d'Elsa, come del resto tutta l'alta valle del fiume, ha solo occasionali testimonianze attinenti al Paleolitico, dovute più alla scarsità di sistematiche e mirate ricerche, che all'effettiva mancanza di questa facies culturale.
Su tutti i ritrovamenti di quel periodo il Museo Archeologico conserva due tombe eneolitiche a grotticella in località Le Lellere, scoperte durante l'esecuzione di lavori stradali, con reperti sufficienti per lo studio e la datazione definita nel IV millennio A.C.
E' però con il periodo etrusco propriamente detto, dall'arcaismo a tutto l'ellenismo, che Colle presenta una mole di reperti, una varietà di tombe e una vastità di necropoli tali da farla annoverare fra le principali località archeologiche della Toscana ed il Museo Archeologico che le raccoglie di conseguenza tra i maggiori di tutta la regione.
Sottoposto alla lucumonia di Volterra, il territorio di Colle era un'importante crocevia da e per l'Etruria centro-settentrionale e di questa realtà raccoglie importantissimi reperti, soprattutto intorno a due grandi necropoli: quella di Le Ville e quella di Dometaia.
Nella necropoli posta a nord-ovest del piccolo agglomerato di case in località Le Ville, le prime fruttuose ricerche nella zona furono condotte nel XVIII secolo e proseguirono nel secolo successivo (1872), portando al rinvenimento di numerosi oggetti, sino agli interventi del Gruppo Archeologico Colligiano che, allo scopo di ripulire le sepolture dell'area segnalata dai vari scavi, ha riportato alla luce dal 1976 ad oggi ben 10 tombe a camera ipogea, tutte gravemente danneggiate nella struttura, spesso interrate per il crollo delle volte e già in gran parte violate.
L'utilizzo della necropoli si è protratto fino a tutta l'età ellenistica. La necropoli, nell'attuale stadio di conoscenza, è distinta in due gruppi di tombe distanti alcune centinaia di metri fra loro: quello di epoca sicuramente arcaica che guarda il torrente Senna e quello a prevalenza di utilizzo classico-ellenistica che guarda il fiume Elsa.
Del primo nucleo, quello più arcaico, degno di nota è la tomba n° 1, sia per la forma caratteristica, sia per i resti del corredo, la cui datazione si colloca tra la metà del VII e del VI sec. a.C.
Le tombe ripulite e studiate sin dal 1974 della necropoli di Dometaia sono una ventina e, anche se disseminate sul crinale per un lungo tratto, fra queste si possono distinguere due nuclei più consistenti: uno a circa 150 metri di distanza prima di giungere alle case di Dometaia e l'altro presso il borgo, sia lungo la strada, sia sotto le case stesse.
Intorno a questa necropoli nascerà in futuro un vero e proprio parco archeologico etrusco.
Molte delle tombe di questa necropoli, sono giunte quasi intatte nella loro struttura fino ad oggi grazie alle caratteristiche del suolo.
Tra le tombe visitabili due sono da segnalare per la loro integrità e monumentalità. La n° 1, a pianta complessa e "a falsa architettura" con lungo dromos di accesso e piccola apertura d'ingresso, presenta una grande cella centrale a pianta rettangolare di circa 2,5 metri di larghezza per 4,70 metri di lunghezza, con copertura a doppio spiovente delimitata da una cornice continua dall'impostazione delle pareti laterali e "columen" centrale; sei celle rettangolari (due per ognuna delle tre pareti) dotate di banchina sui tre lati, all'infuori della celletta di sinistra sulla parete di fondo che ha un lato senza banchina. Altra particolarità è la presenza di numerose scritte etrusche, graffite sul "pancone", ancora da decifrare.
Lo stile e l'accuratezza nell'esecuzione del manufatto ci riportano con la mente alle tombe monumentali rinvenute nelle zone più famose e pubblicizzate dell'Etruria, con una datazione che è ipotizzata dall'età arcaica (VI sec. A.C.) fino al tardo ellenismo.
I motivi per cui il museo suscita grande interesse sono dovuti inoltre agli splendidi pezzi provenienti dalla tomba della nobile famiglia dei Calisna Sepu, al contesto della Tomba Pierini (VII° sec. A.C.).
La tomba dei Calisna Sepu, considerata il più ricco ritrovamento di età ellenistica avvenuto nell'Etruria del nord, mostra i grandi vasi a vernice nera considerati fra i più rappresentativi di questa classe ceramica, l'unico esemplare di Kelebe volterrana sovradipinta, splendidi specchi bronzei e una vasta gamma di vasellame da mensa in uso presso l'alta borghesia etrusca.
Biblioteca Comunale Dedicata a Marcello Braccagni, i locali dell'ex edificio industriale che attualmente ospita la Biblioteca Comunale offrono uno spazio di circa 700 mq, in cui sono collocati oltre 40.000 volumi, insieme ai documenti archivistici di enti e famiglie colligiane.
Accanto alla tradizionale sala di lettura sono presenti spazi destinati ad un pubblico più giovane, forniti di audiovisivi, computer ed internet point.
L'accesso alla biblioteca è libero su presentazione di un documento di identità valido (per i minori fa fede il documento di un genitore).
Tra i numerosi archivi che raccoglie, tutti visitabili, citiamo: l'archivio comunale postunitario, l'archivio Ceramelli-Papiani, l'archivio dell'ex-Ospedale 'San Lorenzo', gli archivi dell'ex-Conservatorio di San Pietro, della vetreria 'Modesto Boschi', Masson-Serafini-Castellini, dell'Istituto professionale 'Cennino Cennini', Vittorio Meoni e della Ceramica 'Vulcania'.
Di particolare valore il Fondo Antico, composto da circa 1200 volumi (dal XVI al XIX secolo) con una prevalenza di edizioni del 1600 e 1700.
Il fondo presenta opere teologiche, morali, agiografiche, liturgiche.